Itikar wrote:Sentiamo che pensa anche Franco che in materia di latino è alquanto ferrato.

Ferrato? Vorrai dire ferroso, ferroso rugginoso, o arrugginito ferrico [Fe2O3]
Condivido tutto quello che hai detto, Alessandro, con l'unica variante che, nei licei classici locali, alla pronuncia "restituita" non vengono quasi mai destinati più di cinque minuti, poiché essa viene indicata come il risultato di una bizzara proposta di cui si fece maggior promotore Erasmo da Rotterdam, essendo egli incapace, come i suoi connazionali, di pronunciare, tra le altre cose, il gn così come lo pronunciamo noi. A me la questione non sembra tuttavia fondamentale: se qualcuno mi chiedesse di leggergli un brano in latino farei come i baristi che chiedono al cliente se nel tè ci vuole il latte o il limone.
Quello che invece va sottolineato è che, nonostante il numero non indifferente di persone che in tutto il mondo si dilettano con il latino, su You Tube non ho trovato quasi mai nulla, eccetto alcune cosucce recitate cantilenando sopra improbabili sottofondi musicali e con accenti buffissimi. E' davvero un peccato, perché sono convinto che molti sarebbero curiosi di sentire la parlata degli antichi romani. Succede invece che le teorie sulla pronuncia restano lettera morta: tutto si sa sulla pronuncia, anzi, sulle pronunce, ma mai nulla si pronuncia. Tant'è.
Non credi che potremmo essere noi a fornire a Impariamo qualche lettura in latino? Certo, forse non sarebbe nello stesso stile di Vittorio Gasmann, forse sarebbe afflitta da un certa quantità dei nostri accenti locali, ma sicuramente sarebbe divertente. Speriamo che calum stia considerando anche questa possibilità oltre che pensare ai tassi (

).
A quello che hai detto tu posso solo aggiungere quanto ci fu raccontato dal nostro professore ai tempi in cui frequentavo il liceo, e cioè che, per quanto riguarda i sostantivi (nouns), la lingua italiana è un latino parlato all'ablativo. Mi spiego meglio: se prendi le desinenze (endings) delle cinque declinazioni (declensions) latine, per l'ablativo hai, al singolare,
-a, -o, -e, -u, -e
che sono anche le desinenze dei sostantivi italiani eccezion fatta per la -u che, nel caso, si trasforma di volta in volta in una delle altre quattro. Per il plurale interviene il nominativo (o il vocativo): -ae, -i, -es, -us, -es con eliminazione successiva della consonante finale.
E' assai verosimile che questo processo di trasformazione originato dall'abuso dell'ablativo abbia avuto inizio tra le popolazioni dell'Italia centrale non già dopo la caduta dell'impero romano, bensì molto, molto tempo prima dei giorni in cui la lupa allattò i gemelli.
Credo che oggi si riesca a malapena a comprendere quanto difficile, e precaria, fosse realmente la vita a quel tempo. Roma è presentata come un centro di cultura e civiltà, ma c'erano anche gli schiavi e i duelli mortali tra i gladiatori. Pur con i vantaggi di vivere all'interno di una cerchia cittadina protetta e dotata di alcuni servizi, di certo la povera gente aveva da guadagnarsi duramente il pane. E non è detto che ce la facesse a metterlo in tavola tutti i giorni. Non è pensabile che il popolo, alle prese con la sopravvivenza quotidiana, parlasse allo stesso modo delle poche persone istruite appartenenti alle classi più elevate. Ed è anche molto probabile che neppure gli eruditi parlassero alla stessa maniera in cui solevano scrivere. Che poi è ciò che succede anche oggi.
Tanto per fare un esempio, ammettendo che in latino classico sia consentito porre, come credo,
"Illae tuae pulchrae rosae aquam dedi" (lit.: To that your beatiful rose water I gave)
non sono sicuro che questo fosse il modo di esprimersi della gente comune. Secondo il nostro professore le desinenze non erano rispettate, o lo erano solo in parte. Il dativo "illae tuae pulchrae rosae" doveva risultare complicato e, diciamo la verità, anche un poco noioso. Come avrebbe potuto cavarsela uno schiavo di vent'anni e di venti secoli addietro a fare a meno del dativo nel comunicare al padrone di aver innaffiato la sua rosa prima che essa appassisse nel caldo sole dell'urbe? Si potrebbe ragionevolmente supporre che egli ricorresse impropriamente alla preposizione "ad" trattando il verbo "dare" come un verbo di moto a luogo e facendola perciò seguire dall'accusativo, in modo da creare una sorta di complemento di destinazione ibrido, con il sostantivo all'accusativo con "ad", appunto, invece che al dativo:
"Ad illam tuam pulchram rosam aquam dedi" (ditto)
Ma, in fin dei conti, non era anche l'accusativo un sovrappiù? Di sicuro lo era. Rimpiazzamolo perciò con l'ablativo e infine usiamo l'ablativo anche per il complemento oggetto "aquam", che verrebbe altrimenti a trovarsi tutto da solo all'accusativo, unico testimone dell'originaria correttezza grammaticale:
"Ad illa tua pulchra rosa aqua dedi" (ditto)
Se questo non è italiano, beh, poco ci manca. Essendo evidente che "ad illa" è "alla", abbiamo, in italiano:
"Alla tua bella rosa acqua diedi".
Nei venti secoli trascorsi dal giorno in cui il giovane schiavo annaffiò la rosa, molte cose sono accadute. La sua acqua ha fatto nascere il partitivo e il colore della sequenza tema-rema è cambiato:
"Diedi dell'acqua alla tua bella rosa" (I gave some water to your beautiful rose)
Naturalmente, in assenza di desinenze, l'ordine delle parole acquistò un'importanza maggiore e si venne a ridurre il numero delle combinazioni possibili. Sebbene in italiano si sia conservata una certa libertà nell'ordine delle parole, libertà che è tuttavia condizionata dall'esigenza di accodare le parti che costituiscono il rema alla fine del periodo, tantochè definire l'italiano un linguaggio SVO è una semplificazione molto approssimativa, probabilmente le possibili sequenze erano più numerose in latino e con un'accurata scelta di quella ottima si poneva rimedio all'ambiguità introdotta dalla mancanza di articoli.
Joaquin wrote:Qualcuno sappia se i romani antichi sonavano come gli italiani moderni? A causa dei film sempre ho associato i romani con accenti Inglesi
Although it's a matter of fact that Latin can't normally be understood if one does not study it, it's also a matter of fact that it sounds
soooo familiar to everybody here. This is because the Latin words are pronounced in the same way as the Italian ones, with some differences between the Erasmos's "restituted" pronunciation and the so called ecclesiastical pronunciation.
The English language differs from Latin upon many aspects. For example, the English language has a very high number of distinct vowel sounds, with minimal variations between them, and the length of vowels has to be necessarily respected in order to keep words distinguished, e.g ship and sheep. This characteristic is absent in Italian. We too have long and short vowels, but they do not influence the comprehensibility and hence the meaning of the words. In Latin, things were perhaps in a intermediate way, but the number of vocalic sounds is notably smaller than in English.
Your association of the Ancient Romans speech with the English one is however useful to consider that both these languages are well suited for dramas and tragedies, where a high register is to be sustained everywhere. The ability of the English language to form short, cutting expressions and its moderate use of articles match well the Latin utterance. Contemporaries sense Latin as a high register language, also when used in ordinary circumstances. The Latin endings "-orum", "-arum", "-um", "-uum", "-ibus", "-tium", and more alike those, make it a drumming language. During pauses, the echoing endings from a rich, four conjugation verb system, both referring to the active "-emus", "-abamus", "-ebimus" ones as well as the passive and deponent "-atur", "-amur", "-antur", "-emur", "-iuntur", "-iebantur", and many other like these, help maintain an emotionally high-impact sound environment.
Upon many aspects, and limiting to talk about the overall tone of the spoken language, Italian is more similar to Ancient Greek than Latin, while English has several traits in common with Latin. Please listen to Charlton Heston acting as Mark Antony in Sakespeare's Julius Caesar (Act 3, Scene 2, Marc Antony's oration "Friends, Romans, countrymen"):
http://www.youtube.com/watch?v=0bi1PvXC ... =endscreen
Although the only Latin sentence pronounced in this third act is "Et tu, Brute" (You too, Brutus), it is pretty evident to me that turning the dialogues from whole movie into Latin wouldn't be as difficult as doing the same thing with love movies, since a whole six centuries Latin literary body deals with dramas, philosophy and history, exception made for Catullus, Ovidius and a few other minor poets. And, of course, in part, for
Publius Vergilius Maro(Andes [
Mantua], 15 October 70 A.D. – Brundisium, 21 September 19 A.D.), one of the greatest Latin authors.
As to examples of spoken Latin, there's almost nothing around. You can listen to this example, but despite the sincere efforts of the actor, a foreigner, that can barely be called Latin. He talks in a pretty robotic way, words aren't spaced the right way, many accents are wrong, and most of all, the endings aren't stressed as they should, so that the original emphasis gets lost. Anyway, you may make an idea about it:
http://www.youtube.com/watch?v=mioA3xHe82w
In the following example, starting at video time 06:40, things are better, but should you decide to study Latin, I wouldn't advice you to use this piece as a suitable text to start from (and at 07:23 Marc Antony speaks Ancient Greek with Cleopatra):
http://www.youtube.com/watch?v=X6lCIGiT7ho
«
Ah ah ah! Μὶα καταιρής. Ah ah ah ah ah ah!.... Est.» (Ah ah ah! A terrible storm! Ah ah ah ah ah ah!.... Okay, okay, let's go on.)
Le mie due lire.
Quintus
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